La sindrome da iperstimolazione ovarica (Ovarian Hyperstimulation Syndrome, OHSS) è una condizione iatrogena, ovvero indotta dai farmaci, che può interessare le donne che si sottopongono a terapie ormonali per tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Questi trattamenti prevedono la somministrazione di terapie ormonali per stimolare la crescita multipla dei  follicoli ovarici, al fine di recuperare un adeguato numero di ovociti che, inseminati in vitro, consentono di generare embrioni che a seguire verranno trasferiti nell’utero della donna.

Una stimolazione ovarica controllata con presenza di più follicoli evolutivi contemporaneamente è quindi una condizione deliberatamente ricercata, non patologica, dei trattamenti di procreazione medicalmente assistita; questo rispetto al singolo follicolo che fisiologicamente e senza supporto farmacologico mensilmente viene selezionato e va incontro ad ovulazione.

La presenza di un’abnorme risposta ovarica rappresenta invece una condizione patologica che si manifesta con uno spettro di manifestazioni oggettive e soggettive di varia gravità.

Rispetto al passato l’incidenza della sindrome da iperstimolazione ovarica, soprattutto nelle forme severe

è sensibilmente inferiore (dal 1,1 all’8%) con un tasso di ospedalizzazione molto basso (0,9%) e questo è reso possibile da maggiore attenzione ad eventuali fattori di rischio, accurato monitoraggio del decorso della risposta ovarica, protocolli terapeutici mirati, avanzamento delle tecniche di laboratorio.

Quando può manifestarsi la sindrome da iperstimolazione ovarica?

L’ OHSS precoce compare in corso di assunzione delle gonadotropine ovvero i farmaci impiegati per la crescita follicolare multipla ed in particolare la gonadotropina corionica umana (hCG), l’ormone della gravidanza impiegato come induttore dell’ovulazione prima del prelievo degli ovociti.

In caso di gravidanza a seguito dei trattamenti di procreazione medicalmente assistita su una OHSS precoce si può innestare e sviluppare una forma tardiva di OHSS, il cui fattore scatenante è la gonadotropina corionica umana prodotta a livello placentare. L’impianto dell’embrione infatti è responsabile della produzione di beta-hCG che induce un ulteriore stimolo sulle ovaie con il conseguente aggravamento della condizione clinica.

Qualora invece non si instauri una gravidanza la sindrome da iperstimolazione ovarica precoce, se di lieve entità, si autoestingue con ripristino dell’iniziale volume ovarico.

In entrambe le condizioni l’esposizione di ovaie iperstimolate all’hCG esogeno o endogeno determina la produzione di mediatori proinfiammatori (citochine), il principale dei quali è  il vascular endothelial growth factor (VEGF); VEGF è responsabile di un aumento della permeabilità dei vasi capillari con conseguente anomalo passaggio di liquidi dal compartimento vascolare allo spazio interstiziale, che nei casi più severi si manifesta a livello addominale come ascite o, meno frequentemente, a livello delle sierose che rivestono il polmone (versamento pleurico) o il cuore (versamento pericardico).

Come si manifesta la sindrome da iperstimolazione ovarica?

La sindrome da iperstimolazione ovarica  è caratterizzata da un ampio spettro di manifestazioni cliniche e di laboratorio di crescente gravità che consentono di classificarla, in lieve, moderata o severa.

Nelle forme lievi l’aumento del volume delle ovaie si accompagna a sintomatologia caratterizzata da nausea, con o senza vomito, e tensione e distensione addominale che possono evolvere in dolore addominale; nelle forme moderate si associa la presenza di un versamento a livello addomino-pelvico (ascite) la cui entità aggrava la preesistente sintomatologia e può essere valutata e monitorata mediante esame ecografico.

Nelle forme severe il versamento interessa le sierose di rivestimento di polmoni (versamento pleurico) e cuore (versamento pericardico) con conseguenti riduzione del volume plasmatico ed emoconcentrazione, ridotta diuresi, alterazioni ematochimiche (leucocitosi ed incremento delle transaminasi) che se non adeguatamente trattati possono evolvere in insufficienza renale, eventi tromboembolici e sindrome acuta da sofferenza respiratoria.

Quali le strategie di prevenzione?

La prevenzione primaria consiste nell’identificare tempestivamente potenziali fattori di rischio. Alcune donne definite “high responders” reagiscono in modo eccessivo ai farmaci impiegati per la crescita follicolare multipla e si caratterizzano per: giovane età (< 30 anni); micropolicistosi ovarica; valori elevati di ormone antimulleriano (AMH, l’ormone in grado di definire la riserva ovarica) ed elevato numero di follicoli antrali ecograficamente valutati, ridotto peso corporeo con basso indice di massa corporea (BMI) e risposta eccessiva ad una precedente stimolazione ovarica.

Il secondo momento fondamentale della valutazione del rischio consiste nel monitoraggio in corso di trattamento mediante monitoraggio follicolare ecografico associato al dosaggio degli estrogeni nel sangue, volti ad identificare un rischio aumentato di sviluppare l’OHSS in presenza di elevati livelli di estradiolo sierico e più di 14 follicoli con diametro >15 mm prima dell’induzione dell’ovulazione.

Qualora si riscontrino uno o più fattori di rischio per OHSS è indispensabile pianificare il trattamento  scegliendo un protocollo terapeutico mirato, in grado di ridurre il rischio di OHSS rispetto ad altri (protocollo con antagonista del GnRH), utilizzando il più basso dosaggio possibile dei farmaci per la stimolazione ovarica rispetto a quelli considerati standard (mild stimulation), e per il minor numero di giorni di trattamento.

Quando i rischi della OHSS compaiono in corso di stimolazione, gli approcci terapeutici rientrano nella prevenzione secondaria. E’ possibile: sospendere il ciclo; ricorrere alla tecnica del “Coasting” ovvero interrompere la somministrazione di gonadotropine e sospendere l’hCG fino a discesa dei livelli sierici di estradiolo; somministrare basse dosi di hCG come induttore dell’ovulazione o utilizzare l’agonista del GnRH nei protocolli con antagonista.

In alternativa si può prendere in considerazione la possibilità di anticipare il prelievo degli ovociti; tale procedura comporta il recupero di un maggior numero di ovociti la cui maturità finale tuttavia dovrà essere indotta in vitro con risultati non sempre ottimali.

Negli ultimi anni grazie al perfezionamento delle metodiche di crioconservazione di ovociti ed embrioni, anche con l’impiego di crioprotettori, si fa sempre più ricorso al congelamento di ovociti e/o embrioni posticipando quindi il trasferimento embrionario nei mesi successivi, dopo la risoluzione della sindrome da iperstimolazione ovarica. Questa strategia consente da un lato di gestire al meglio le possibili complicanze dell’OHSS preservando la salute della donna e dall’altro di ottimizzare le percentuali di impianto embrionale e quindi di gravidanza.

Come si tratta la sindrome da iperstimolazione ovarica?

Le forme lievi e moderate di iperstimolazione ovarica generalmente richiedono riposo domiciliare ed attento monitoraggio: clinico dei sintomi e della loro entità, strumentale mediante esami ematochimici e soprattutto ecografico, al fine di valutare in modo seriato il volume ovarico e l’entità del versamento addomino-pelvico. In un arco di tempo di massimo due settimane si osserva una riduzione del volume ovarico fino a quello originario e la risoluzione completa della sintomatologia.

L’ospedalizzazione si rende necessaria ogni qualvolta sia presente un’iniziale compromissione dello stato generale di salute, come nelle forme severe della sindrome da iperstimolazione, che richieda oltre ad un attento monitoraggio l’impiego di farmaci in grado di correggere ed evitare un’evoluzione infausta della sindrome.

Per valutare la necessità o meno di ospedalizzazione bisogna tenere in conto, oltre che della gravità delle manifestazioni della OHSS, anche della tipologia di paziente per affidabilità e compliance a sottoporsi a ripetuti controlli ambulatoriali.

In casi rari si può rendere necessario il trattamento chirurgico per la risoluzione urgente di una torsione ovarica, legata all’aumento esponenziale e rapido del volume ovarico, o l’aspirazione del versamento ascitico qualora resistente a terapia medica o in grado di compromettere lo stato generale di salute.

Per quello che riguarda invece gli effetti della OHSS sull’esito della gravidanza, sembrerebbe che, se la patologia si risolve, essa non abbia effetti negativi sulla gravidanza stessa.

In conclusione è fondamentale porre la massima attenzione alla prevenzione della sindrome da iperstimolazione ovarica, alla sua identificazione precoce e al suo adeguato trattamento sfruttando sempre più il  crescente supporto dei presidi farmaceutici ed il miglioramento delle tecniche di laboratorio.

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